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INTERVISTA AL MAESTRO FEDERICO BONSIGNORI :ATMOSFERA, SUONI E MUSICA NEI FILM

19.09.2012 18:21

Federico Bonsignori :chitarrista, musicista, compositore, arrangiatore, insegnante pisano diploma chitarra classica conservatorio e diploma professionale chitarra jazz accademia lizard di fiesole, più vari seminari e studi di composizione classica la mia attività è poliedrica suono professionalmente come solista o in formazioni di tango o jazz o pop in italia e all'estero ,accompagna cantanti o compone da diversi anni per il teatro, recentemente ha collaborato con l'artista svedese Liselotte Wajstedt ad un progetto sull'arte visuale e la musica,alterna alla composixione di musiche per teatro con la regista Cristina T. Chiochia a tanto altro, tra cui il gruppo di Tango Y mas.

Domanda:"Durante il secondo incontro previsto nella Biblioteca calveirate e' presvisto un suo intervento sulla musica nei film, in particolare riguardo all'atmosfera che genera"

Risposta."Parlare di musica nel cinema vuol dire anche e soprattutto atmosfera generata dal suono. La musica, arte dei suoni con regole generalmente accettate e seguite per citare la Poltronieri, espressione artistica eterea, incorporea, scultura dell'aria ma anche arte eclettica comunicativa ed universale.E' giusto dire che non esistono  la musica e il cinema come espressioni distinte ( anche se dal punto di vista legale ciò è negli Stati Uniti), ma forse è più giusto dire che esiste il" cinema di musica"! "

Domanda : "Una specie di arte sonora?
Un'estetica, quasi una poetica come diceva Chion Michel?"

Risposta:" l'arte sonora nel cinema è cinema. 
La musica come settima arte assume delle connotazioni e delle tecniche precise che con dovute eccezioni ricordano più una bella trama, un bell'ordito che l'esplosione creativa di un genio rinascimentale".

domanda:"secondo lei, questo da cos'e' determinato?"

Risposta
:"Questo è determinato in maniera non secondaria dai 
ristretti tempi di composizione richiesti dal regista o dalla produzione. Creare atmosfera tramite il rapporto fra  musica e immagine non implica necessariamente approfonditi studi di composizione o di alta formazione musicale; spesso si utilizzano metodi più pratici e sintetici. D'altronde il cinema è la massima sintesi delle varie arti e le consegna alla storia, è arte della luce e artigianato del suono".

Domanda:"bellissima immagine quella dell'arte della luce, la grande arte della luce e dell'ombra, diceva Mannoni.. "
 

Risposta:"certo! Spesso nella scrittura musicale cinematografica si utilizzano le cosiddette armonie campione, una sorta di banca dati per le diverse situazioni: l'attesa, la paura, la gioia, arrivano i nostri ecc. Nei film spesso è il regista a dettare le regole; ricordando atmosfere precise di altri film egli vuole che esse vengono ricreate, per cui si compone utilizzando forme stereotipate.Tutto questo determina anche nello spettatore una sorta di memoria collettiva musico-cinematografica.Una sorta di compromesso artistico del musicista è stato, passatemi il termine, il saccheggio di temi classici in prima linea, ma anche popolari o leggeri. Ad esempio Ennio Morricone, ne "La battaglia di Algeri " di G. Pontecorvo, cita la" Passione secondo Matteo" di Bach ; nel film "Uccellacci e uccellini" di P.P. Pasolini il "Don Giovanni" di Mozart;  nel mitico western "Per un pugno di dollari" il "De guello" di Dimitri Tiomkin, tra l'altro gia saccheggiato in molti altri western anche americani! Il compositore spielbergiano John Williams, detentore del maggior numero di Oscar vinti, nel terrificante "Lo squalo" di S. Spielberg riprende il grande pathos della "Sinfonia del nuovo mondo" di Dvorak. Nino Rota, pluripremiato con Fellini, ne "La dolce vita" cita "L'opera da tre soldi" di Brecht-Weill, o addirittura si autocita con una storica causa per diritti d'autore ne " Il padrino parte seconda", riprendendo tale e quale la musica del vecchio film "Fortunella" con E. De Filippo; o ancora, Ruiki Sakamoto 
riprende ne "Il piccolo budda" di F. Zeffirelli il motivo liturgico del" Dies irae", a sua volta già ripreso da M. Ravel nella "Pavane por un enfant defunt", ma anche molti temi di C. Debussy o musica impressionista in genere. Citiamo anche la famosa causa fra Francis Lai autore  di "Love story" e Stelvio Cipriani  autore di "Anonimo veneziano".

domanda:"per concludere quindi, come definirebbe l'atmosfera, i suoni e la musica nei film?"

Risposta:" è giusto ribadire che, dati i tempi brevi richiesti al compositore, spesso è inevitabile cadere in musica già sentita, il che avviene anche in modo assolutamente inconsapevole da parte dell'autore; senza contare inoltre che la musica, in quanto cultura, si basa su processi di stratificazione di opere precedenti".

 

INTERVISTA A CURA DELL'ASSOCIAZIONE CULTURALE "SI FA" TUTTI I DIRITTI RISERVATI

il dialogo ed i personaggi nel cinema: intervista ad andrea daz

17.09.2012 21:39

Andrea Daz ha lavorato a lungo in teatro come regista, ma anche produttore e direttore organizzativo, è conosciuto soprattutto per una versione molto originale e spettacolare del Mahagonny di Brecht (1995), per una serie di performance-laboratori sul Teatro Futurismo Sintetico, realizzati con molto successo tra il 2004 e il 2007 a Milano, Torino e Bergamo, e per il blog Mercuzionline, attivo nel 2002, il primo blog a occuparsi di teatro con recensioni e comunicati. 

 
Da alcuni anni lavora nel cinema internazionale, in particolare nelle coproduzioni Europa-USA e nella distribuzione cinematografica.    il suo primo film da regista sarà SUPERCHICA a Barcelona, tra breve, il mese prossimo inizia la pre-produzione ufficiale, invece l'annunciato THE SECRET WORLD, progetto americano più impegnativo (e costoso) slitta al 2013. 
 

domanda. qualche cenno bibliografico, raccontaci un po' di te.

 
    risposta. Rimando a google per chi vuole leggersi tutto il mio curriculum, magari in un pomeriggio piovoso, in sintesi ho iniziato col teatro nel 1994 (quindi, sono quasi vent'anni che sono in circolazione, anche se ho fatto una pausa di molti anni, che spiego più avanti) Ho realizzato molti spettacoli come regista ma anche organizzando spettacoli diretti da altri, ruolo che mi è molto congeniale. Tutto quello che ho fatto è sempre stato un lavoro di gruppo, dove spesso i ruoli non erano ben definiti. Sopratutto all'inizio, nelle prime squattrinate esperienze teatrali, tutti facevano tutto. I primi anni di esperienze teatrali mi hanno dato l'impostazione, proprio perché sono stati anni di tirocinio e di apprendimento, divertenti e di successo ma anche con molti errori e passi falsi, esperienze negative che ancora adesso mi sono utili e hanno costruito la professionalità.  Un'esperienza importante, tra le tante,  è stata per me la regia de L'IMPERATORE DI ATLANTIDE, opera lirica di VIktor Ullmann, al Fraschini di Pavia. Un'idea che sembrava uno dei tanti esperimenti si è rivelata di grande successo, una serie di performances sul futurismo che si chiamavano TFS (Teatro Futurista Sintetico). A Milano chi mi conosce di nome mi associa sopratutto a queste cose, Insieme al blog Mercuzionline, un blog-rivista gestito ed editato da me, ma scritto da altri, con comunicati e recensioni di spettacoli.  Non ho mai fatto l'insegnante di teatro, e se me lo proponessero mi rifiuterei, ma ho tenuto invece dei laboratori sul teatro in cui non insegnavo ma mettevo a disposizione i miei studi e le mie esperienze per avvicinare la gente, quelli che di giorno fanno altre cose e vanno al teatro ogni tanti,  Mettici un intervallo di cinque anni, in cui mi sono dedicato ad altre cose e ho tirato un sospiro di sollievo perché tutto quel teatro mi aveva stancato e non mi aveva poi molto arricchito, per alcuni anni ho lavorato nel web marketing e l'esperienza artistica, di cui ogni tanto mi chiedevano perché il mio nome saltava comunque fuori, era per me un discorso chiuso, avevo bisogno di rimettere i piedi sulla terraferma. Quando sono rientrato nel "magico mondo dello spettacolo", più sereno e con le idee più chiare, ho preferito tornare all'idea iniziale, il cinema. Già mi dicevano che il mio modo di fare teatro, sia come recitazione che come luci che come musiche, era cinematografiche, quasi un "teatro-cinema" che forse per questo piaceva (alle luci con me hanno lavorato persone che ora sono direttori di fotografia in cinema). E poi, i miei studi erano stati principalmente di cinema, infatti, anche se lascio la porta aperta al teatro nel futuro, ho in mente solo il cinema. Sono due mondi e ambienti diversi. Rispetto al teatro, dove davo sfogo a una creatività artistica molto fervida, nel cinema mi muovo un uomo d'affari, un produttore esecutivo (attenzione! esecutivo non produttore, è diverso ) e marketing manager dei film. Anche perché prima ero un folle venticinquenne, adesso sono un posato quarantenne.  
 
 
domanda. L'associazione culturale si fa il cui obviettivo e' una dinamica di ricerca, di risposta e di proposta e di comunicazione nei centri di aggregazione, ha sviluppato un processo teso a far emergere il contenuto 
culturale dell'arte cinematografica in questi incontri. Sei d'accordo? 
 
risposta. Certo, il cinema è la settima arte, e come tale merita la stessa attenzione della letteratura, della pittura, della musica... avvicinare sopratutto la gente più giovane all'arte cinematografica, fargli vedere che non esistono solo Avengers e Twilight (a parte che mi sono piaciuti molto sia Avengers che l'ultimo Batman) ma può essere anche un modo di esprimere e comunicare sentimenti e cultura, è importante. Se poi questi incontri possano insegnare un nuovo approccio nel modo di vedere un film, sarà un grande risultato di cui andare orgogliosi. 


 
domanda. SI FA e' al suo primo appuntamento, ed ha visto nella tua presenza un apporto qualificato per rappresentare quest'arte, cosa ne pensi di un ciclo di incontri in contesti locali, come le biblioteche comunali?

 
risposta. So che gli incontri si terranno alla biblioteca Calveirate. Io frequento molto la biblioteca "Tibaldi", perché a due passi da casa mia, in realtà la "uso" solo per prendere in prestito libri e sopratutto DVD, ha un ottimo catalogo. Però, mi accorgo che negli ultimi anni è divenuta un vero e proprio "circolo culturale" dove ci si incontra, vengono presentati libri di storia e di poesia, il sabato ci sono spettacoli per ragazzi, insomma molte iniziative. Delle altre biblioteche non so, perché sono fuori per mano per me e le bazzico davvero di rado, ma è una ottima idea. Sarebbe bello che le biblioteche facessero dei cineforum, come si usava una volta, scegliere uno dei tantissimi dvd in catalogo e proiettarlo pubblicamente, per poi fare un dibattito, ma non in stile anni '70, qualcosa di molto vivace, dove sono gli stessi spettatori a dire la loro, magari seduti su dei cuscinoni invece che su delle scomode seggiole, sorseggiando bevande... Già la vostra iniziativa è molto lodevole, spero che abbia riscontro e sia imitata da altre situazioni, sempre con le limitazioni burocratiche ed economiche che ben sappiamo.

domanda. secondo la tua esperienza , dal momento che dal 2004 al 2007 hai curato tanti laboratori di teatro, anche nelle scuole,  le biblioteche potrebbero diventare centri loro stesssi di cultura e di arte?
 
risposta. L'esperienza più bella è stata lavorare con i bambini, ed erano bambini davvero tremendi, come quelli dei fumetti per intenderci, e riuscire a comunicare la passione per teatro a loro è stata una grande soddisfazione. I laboratori di e sul teatro, perché quelli che facevo non sono mai stati "corsi" ma "laboratori" appunto, non si insegnava recitazione, che non è il mio mestiere, ma si avvicinava la gente al teatro, gente che quasi ne aveva paura e lo vedeva come qualcosa di noioso e pesante (a volte il teatro può esserlo).  Non vedo le biblioteche adatte a fare dei "laboratori" di teatro, per quello ci vogliono degli spazi vuoti, neutri, come le palestre (quando tenevo il laboratorio di teatro al liceo Pasolini avevo espressamente chiesto di usare la palestra). La biblioteca è un posto che straripa di pensieri, di azione, di movimento. E' invece un luogo congeniale ad una presentazione ed analisi cinematografica come quella che farete. 

domanda.Ora quali sono i tuoi progetti per il futuro?
 
risposta. Dopo tanti anni di lavoro nel cinema, ho partecipato a molti film come assistente regista, nelle produzioni, nelle distribuzioni, ho girato dei corti, ma non avevo mai fatto un lungometraggio tutto mio da regista. E' arrivato il momento, anzi, ne ho addirittura due in cantiere. Uno è in Spagna, tratto da un romanzo di Laura Fernandez "SuperChica", uno qui in Italia, ambientato negli anni '70. Non voglio e non posso dire altro, starete a vedere.

domanda. sei appena tornato da Venezia e dal suo luccicante festival cinematografico, cosa ne pensi di questa kermesse?
 
Ho vissuto Venezia, come prima Cannes, da addetto ai lavori, un modo anomalo di viverlo, perché sei lì e nello stesso tempo è come se tu fossi alla Smau, perché stai inchodato dentro l'Excelsior non vai a vedere i film nelle sale,  ma ti arrivano mille riviste e comunicati con cui sei informatissimo su tutto quello che succede ora per ora e vedi degli spezzoni, dei frammenti di film. Ogni tanto ti concedi una passeggiata sul Lido dove vedi il pubblico, che sta in coda per vedere i film o gli attori famosi. Il pubblico si fa molto condizionare dall'immagine, così un regista importante come Jonathan Demme, nel suo look totalmente casual-turistico, passeggiava tranquillamente, mentre altre starlette che si facevano accompagnare da guardie del corpo, salivano e scendevano dalle limousine, erano prese d'assalto dai curiosi. Rispetto a festival più "alternativi" come Locarno e Torino, Venezia e il Lido di Venezia hanno quell'atmosfera lussuosa, snob e decadente che a me piace molto, da film di Luchino Visconti.  Una bellssima esperienza. Posso lamentarmi solo delle premiazione finale, sulla quale non mi sono trovato affatto d'accordo. Segnalo a chi mi legge un film italiano che non è stato premiato, e forse avrà vita difficile nelle sale "L'intervallo". Approfitto anche per segnalare pure un film non premiato a Cannes, ma che meritava "De rouille et d'os" con Marion Cotillard, uscirà in ottobre in Italia, non so dire quale sarà il titolo italiano. 

domanda. E come vedi la vita di un produttore cinematografico ora, in italia?
 
risposta. Per quanto mi riguarda, mi piacerebbe produrre film ambientati in Italia, ma con capitali esteri, ovvero produzioni che partono dalla Francia, dalla Spagna, anche dagli USA, che negli ultimi tempi si sono allontanati da noi, c'è questa burocrazia assurda, queste tassazioni esasperate e questo complicare le cose a tutti i costi tipicamente italiano che ha portato alla crisi di Cinecittà, ad un calo vistoso delle produzioni. Le manifestazioni e i picchetti servono a ben poco, bisognerebbe investire nuovi capitali. I produttori sono spesso criticati per le loro scelte, ma ricordo che sono degli imprenditori che danno lavoro a tanta gente, ma per potere creare lavoro bisogna ottenere dei finanziamenti. Nessun produttore italiano mette capitali suoi, sono tutti prestiti dalle banche. La risposta, allo stato attuale, è: vedo la vita di un produttore in Italia molto difficile, e con prospettive scarse. Però, le cose cambiano, i tempi cambiano. 

domanda. tu collabori molto con l'estero, raccontaci questa esperienza
 
risposta. Lavoro con americani e con francesi, ho scoperto che con loro sul lavoro mi trovo benissimo, meglio che con gli italiani che sono troppo casinisti e complicati, forse perché io non sono del tutto italiano, come si evince dal cognome, ho origini che affondano nell'Est Europa, e per questo ho una mentalità molto pragmatica e problem solving, come appunto le persone con cui lavoro. Volevo infatti chiarire che non sono un produttore, come quelli di cui ho parlato prima, ma un esecutivo e un marketing manager, insomma uno che fa da intermediario tra le sceneggiature, i progetti, i business plans e gli investitori, e successivamente, a film finito, con i distributori. La cosa paradossale è che pur essendo appunto un businessman che spesso porta a termine lavori e progetti altrui, le mie sceneggiature e le mie idee sono davvero molto sperimentali e fantasiose, anche troppo, infatti spesso non vengono capite. Quando un giorno mi produrrò i miei stessi film sarà la fusione perfetta di arte e business, di creatività e marketing. Per il momento non ci sono ancora arrivato, ma mi ci sto avvicinando.

 In conclusione, quello di mercoledi 26 settembre sara' l'incontro sull'analisi e l'uso dei primi piani nel cinema, come e cosa insomma crea il dialogo ed i personaggi.ltu cosa ne pensi in proposito?
 

Questa è una domanda che richiederebbe una risposta-saggio, su queste cose Eisenstein ha scritto un volumetto "Il montaggio cinematografico" usato nelle scuole di cinema. Il linguaggio varia a seconda delle annate, per esempio un film degli anni '50 ha delle inquadrature ben definite e studiate, un film degli anni '90 tende ad avere immagini più mosse e oblique, e così via. Questo è qualcosa che viene percepito da qualunque spettatore, anche se magari non lo sa spiegare. Per questo a colpo d'occhio, facendo zapping in tv, si riconosce il periodo a cui appartiene un film, anche da pochi fotogrammi. 
 
Per i dialoghi, come sappiamo c'è il classico controcampo e campo, ovvero un alternarsi di piani dei due personaggi dialoganti, e anche quello si è evoluto nel corso degli anni, in realtà i personaggi non stanno l'uno di fronte all'altro ma sono inclinati lateralmente, se fossero davvero l'uno di fronte all'altro, per uno scherzo di ottica, nel film sembrerebbero inclinati! Molti registi hanno sperimentato sul campo e controcampo, per esempio Lars Von Trier o Roger Avary presentano dei dialoghi con i personaggi che non si guardano neanche o guardano fisso in cinepresa. Spielberg spesso fa vedere le ombre dei personaggi che parlano. Invece un innovatore come Tarantino, nel bellissimo, celebre dialogo tra Uma Thurman e John Travolta di Pulp Fiction, usa un campo e controcampo classico. Altro esempio famoso di dialogo è quello tra Al Pacino e Robert De Niro in Heat, film che vorrei portare alla presentazione. Stanno l'uno di fronte all'altro e i loro gesti, le loro espressioni, le loro parole sono in sincronia perfetta. Il cinema francese di un certo periodo, come quello di Rohmer, presenta i due dialoganti intenti in lunghe passeggiate, con la cinepresa che li segue a distanza ma rispettosamente, come se fosse un terzo amico che li sta ad ascoltare a distanza. Woody Allen fa sedere i due personaggi su di una panchina o su di una sedia di casa e li inquadra insieme. Quando il regista vuole concentrare l'attenzione sul dialogo, come sempre in Heat, l'nquadratura è stretta, si vedono solo i personaggi. Invece Pulp Fiction, per esempio, mostra anche il sottoscena, l'ambiente circostante. 
 

 


    IL DIALOGO ED I PERSONAGGI NEL CINEMA: INTERVISTA AD ANDREA DAZ è a cura dell'associazione SIFA (tutti i diritti riservati)

 

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